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73 - Le insidie dello yoga

Le insidie dello yoga

2018 - Gennaio
N° 73
Editoriale

Il tema delle insidie ha coinvolto con entusiasmo la redazione e i collaboratori, dimostrando quanto sia tra noi sentita la necessità di uno sguardo indagatore su alcuni aspetti critici della professione di insegnante yoga. Lo scopo principale della YANI è difendere la serietà dell’insegnamento, e il tema delle insidie (nonché delle relative precauzioni nell’insegnamento) si colloca a tutto diritto in questa intenzione fondante dell’Associazione.

Moltissimi sono stati gli spunti giunti in redazione ‒ ringraziamo in modo particolare l’apporto fattivo di Alexandra van Oosterum; era impossibile affrontarli tutti ma confidiamo che gli articoli presenti nel numero possano aprire un dibattito all’interno di gruppi di lavoro e coordinamenti regionali. Ricordiamo che la redazione si basa sul lavoro volontario e sulla generosità di chi scrive gli articoli a titolo gratuito – a loro va la nostra gratitudine ‒ per cui non sempre riusciamo ad affrontare tutti i punti di vista possibili.

Durante il lavoro redazionale abbiamo osservato che alcuni aspetti insidiosi dell’insegnamento possono riguardare una scarsa conoscenza storica e culturale delle diverse tradizioni yoga, cosa che si traduce in pressapochismo. L’articolo di Gioia Lussana, in una ricostruzione degli aspetti principali dello śivaismo kashmiro, sottolinea come la centralità che lo yoga tantrico conferisce all’attenzione costituisca, nello yoga, un baluardo contro le possibili insidie di un edonismo esasperato o di una deriva inoperosa o di una pratica condotta con atteggiamento acquisitivo foriero di false aspettative.

Nell’articolo dedicato alle siddhi, Francesco Vignotto parla della tentazione contemporanea di alcuni insegnanti di spettacolarizzare i propri conseguimenti (soprattutto atletici) per acquisire allievi e dell’idea distorta di «poter fare commercio non dell’insegnamento ma dei suoi risultati».

Gli aspetti insidiosi più sentiti sono stati, comunque, quelli che riguardano lo strabordare dell’ego di alcuni insegnanti. Ne scrive Anna Jannello, annotando, con l’aiuto della psicoterapeuta freudiana Grazia Biraghi, quanto sia importante la consapevolezza delle dinamiche interne al rapporto maestro/allievo per evitare dipendenze o idealizzazioni, da parte degli allievi, della figura dell’insegnante.

Nel suo Attenti al guru?, Claudio Conte ricorda gravi fatti, registrati dalla stampa internazionale, di trasgressione della deontologia professionale da parte di conclamati insegnanti.

L’articolo della dottoressa Chiara Mariani evidenzia seri pericoli fisici e psicologici nella divulgazione acritica degli ṣaṭkarma, ovvero le sei tecniche yoga di purificazione del corpo proposte nella Gheraṇḍa Saṃhitā e nell’Haṭhayoga-pradīpikā. A partire dalla descrizione dettagliata degli effetti collaterali di dette pratiche, soprattutto in condizioni di patologie conclamate e non solo dell’organismo, il suo contributo è un invito a conoscerle pur rivalutandole con la dovuta prudenza, date le acquisizioni scientifiche moderne.

Ricordando i danni che un cattivo insegnamento può provocare a livello fisico (e psicologico), testimoniati da una crescente casistica di infortuni durante la pratica yoga, l'articolo di Giuseppe Goldoni riporta le linee guida del metodo del dottor M.V. Bhole per insegnare in sicurezza e sottolinea l’importanza dell’utilizzo di un linguaggio accurato.

Su un piano prettamente anatomico, l’articolo dell’osteopata Chiara Cornacchia porta l’attenzione sulla cattiva abitudine, ormai molto diffusa, come testimoniato dalle immagini illustrative spesso pubblicate nei manuali di yoga, di iperestendere e quindi bloccare le ginocchia durante la pratica delle āsana. Questa scarsa attenzione all’articolazione delle ginocchia, nel tempo, può portare a serie conseguenze sul piano muscolo-scheletrico che si ripercuoteranno inevitabilmente su tutta la struttura. Il suggerimento proposto per preservare la salute delle ginocchia e migliorare la qualità dell’esecuzione delle āsana, è di coltivare una maggiore consapevolezza sul funzionamento anatomico e biomeccanico del ginocchio.

Conclude il numero una carrellata di sintetiche opinioni di alcuni insegnanti associati. Eleonora Fiorini ci ricorda l’importanza sia del “giusto sforzo” in āsana sia del rapporto tra insegnante e allievo. Emina Konjic ci mette in guardia dal carattere ingannevole dell’ego. Stefania Redini sottolinea come oggi si insegni ‒ dopo aver frequentato corsi di formazione più o meno validi ‒ senza passare attraverso un paziente apprendistato sotto gli occhi vigili del proprio maestro che supervisiona le lezioni tenute, e come ciò porti alla perdita della necessaria umiltà e aderenza alla propria reale esperienza. Marco Peduzzi elenca alcune insidie originate da una pratica vissuta come «mezzo per ottenere questo o quello: flessibilità, salute, tranquillità, illuminazione», obbiettivi, vṛtti, che sono il frutto della mente condizionata, il cui arresto è proprio l’unico paradossale scopo dello yoga in quanto tecnica. Daniele Rabozzi, consapevole che la relazione tra insegnante e allievo possa essere portatrice di doni generosi per l’uno e per l’altro, si augura che la pratica e la vita siano d’aiuto a entrambi per crescere in consapevolezza, via maestra affinché ciascuno non si identifichi in un ruolo preconfezionato: «quello dell’insegnante che distribuisce conoscenza e quello dell’allievo che acquisisce nozioni». Infine, Ester Monteggia riporta una visione particolarissima che riguarda la crescita della persona e la «bellezza dell’infinito nel finito».

Sommario

Una questione di equilibrio
Anna Jannello

Attenti al guru?
Claudio Conte

Ci aspettiamo qualcosa dallo yoga?
Gioia Lussana

Quel che resta delle siddhi: di pubblici spettacoli e di segrete liberazioni, e viceversa
Francesco Vignotto

Primo non nuocere
Giuseppe Goldoni

Ṣaṭkarma: invito alla prudenza
Chiara Mariani

Attenzione alle ginocchia iperestese!
Chiara Cornacchia

L'opinione dei colleghi
A cura di Lorenzo Martinelli

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